Data | 11-04-2018 |
Categoria | Cultura |
Fonte | Val San Martino Spot |
Le grandi mura in laterizio, la ciminiera che si staglia verso l’alto, gli enormi capannoni oggi semi-abbandonati. E’ un ambiente davvero unico quello della ex fabbrica, ormai dismessa, dei Sali di Bario, uno scheletro di archeologia industriale tra la stazione di Calolziocorte e l’Adda che chi giunge in treno non può fare a meno di notare.
Fin da metà ‘800 nella vicina Valsassina erano attive infatti cave di barite, un prodotto utilizzato in varie settori e persino nell’industria casearia della zona che le utilizzava per rendere più solide le croste di alcuni formaggi. Tra le ditte allora attive nell’escavazione, macinazione e commercio del prodotto - senza sottoporlo a trasformazioni chimiche - c’era in particolare la ditta lecchese Cugnasca-Baggioli che il 23 ottobre del 1900 ottenne il permesso di aprire la fabbrica di Calolziocorte per la lavorazione chimica della barite: nel 1902 prese il via la lavorazione - “allo stato di prova” - di acido solforico e idrato di bari.
La scelta di Calolzio non fu certo casuale: l’industria venne impiantata a ridosso della ferrovia Lecco-Milano in modo da poter facilmente importare materie prime ed esportare i prodotti chimici. Il fiume Adda era un’importante via di comunicazione e di trasporto merci – le fotografie d’epoca testimoniano l’utilizzo di barconi per portare la barite dalla Valsassina – ma era anche un’inesauribile fonte per l’acqua necessaria alle varie lavorazioni: l’acqua veniva pompata proprio da fiume e la cisterna che vediamo ancora oggi era anche un sostegno per alcuni serbatoi. Venne inoltre realizzata una centrale idroelettrica che sfruttava la forza del torrente Gallavesa per garantire elettricità agli impianti: dopo di anni di abbandono anche la piccola centrale nella gola del torrente è stata riqualificata e oggi la corrente dell'impetuoso corso d'acqua è tornata di nuovo a produrre corrente elettrica.
Il nucleo originario dello stabilimento era composto da un palazzo per gli uffici a due piani in mattoni e pietra arenaria, un corpo di fabbrica sempre in laterizia e provvisto di una alta fronte a quattro salienti e archeggiature vagamente romaniche, altri corpi verso l’Adda a più falde con loculi e coronamenti di mattoni ornamentali, oltre a vari capannoni del tipo a shed. Emerge su tutto la alta ciminiera impostata sopra un corpo a torre cilindrico con beccatelli e decori.
Nel 1908 entrarono nel Cda dell'azienda Luigi De Ponti e il figlio Gaspare che acquisirono poco alla volta le azioni della società, assumendone il controllo direzionale fino alla cessazione dello stabilimento nel 1971 alle Partecipazioni Statali con AMMI (Associazione Mineraria Metallurgica Italiana) ed EGAM. Dopo il susseguirsi di diverse destinazioni produttive e gestioni societarie, nel 1998 lo stabilimento ha cessato definitivamente ogni attività.
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